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CUNEESI ILLUSTRI
A quali personaggi illustri nelle scienze, nelle arti, nella politica ha dato i natali la città di Cuneo? Seguiamoli ad uno ad uno, in ordine cronologico.

Vincenzo Virginio, cui è dedicata Piazza Virginio, sede di S. Francesco, non fu uomo celebre per arte, dottrina od eroismo. Il merito al quale è legato il suo nome è modesto ma pratico, segno di un grande amore per il consorzio umano. Nato a Cuneo il 2 aprile 1752 e laureatosi in legge a Torino, il Virginio rimase profondamente colpito dalla precarietà alimentare che, a causa delle guerre e delle carestie, minacciava la gente povera, i lavoratori della terra. La lotta che il Virginio combattè a questo riguardo si svolse tutta all'insegna della diffusione della coltura della patata. La patata era allora un alimento guardato con scarsa simpatia, se non addirittura con diffidenza. Il Virginio scrisse un trattato "Coltivazione della patata ovverosia dei pomi di terra, volgarmente detti tartufi" per diffonderne la conoscenza a livello degli "addetti ai mestieri". Si racconta che, per incrementarne la popolarità, arrivasse a far dono dei modesti tuberi alle grandi signore torinesi, presentandoli racchiusi in elegantissime scatole intarsiate. Ma la resistenza e le diffidenze erano tali che solo nel 1803 le patate facevano, per la prima volta, il loro ingresso nei mercati torinesi. Per la riuscita della causa, il Virginio arrivò a sacrificare il proprio patrimonio; da agiato possidente ridottosi in precarie condizioni finanziarie dovette trasferirsi a Zara ove gli era stata affidata una cattedra in agraria. Terminò i suoi giorni a Torino, all'ospizio dei S.S. Maurizio e Lazzaro, ammalato ed indigente, il 4 maggio 1830.

Barbaroux Più liete, fortunate, gratificanti, le vicende di un altro illustre cuneese settecentesco: Antonio Bartolomeo Bruni, musicista. Nato nel 1751 studiò violino a Torino e poi a Novara. Seguì anche corsi di composizione; terminati gli studi si trasferì a Parigi. Svolse un'attività frenetica e multiforme; fu violinista, direttore d'orchestra, compositore quasi sempre applaudito ed apprezzato. La sua opera di compositore è vastissima: fra le sue più celebri commedie in musica ricordiamo "Le major Palmere" e "Toberne". Di idee progressiste, partecipò agli entusiasmi rivoluzionari componendo gli "Inni alla libertà"; divenuto bonapartista, fu direttore dell'Opéra Bouffe nel periodo imperiale. Con la restaurazione, nel 1816, ritornò a Cuneo ove morì nel 1821. Da lui prendeva il nome, alla fine del secolo scorso, il nascente Civico Istituto Musicale "B. Bruni", divenuto, nel 1978, sezione staccata del Conservatorio "G. Verdi" di Torino. Al Bruni è intitolato anche il complesso orchestrale che, sorto nel 1953, svolge da oltre trent'anni una intensa attività artistica.

Barbaroux Giuseppe Barbaroux nato a Cuneo il 6 dicembre 1772, era figlio di un mercante francese di velluti. Famiglia borghese quindi, e discretamente agiata. Barbaroux si laureò in legge a Torino ed iniziò assai presto una rapida carriera divenendo, ancora giovane, avvocato generale al senato di Genova. Ambasciatore del regno sardo a Roma seppe appianare i contrasti sorti tra il pontefice Pio VII e il sovrano sabaudo. Fu proprio il Barbaroux ad ottenere, in quella occasione, che la città di Cuneo divenisse sede di una diocesi indipendente (1817). Sotto il regno di Carlo Alberto, nel 1831, Barbaroux fu nominato ministro della Giustizia. Il sovrano affidò al moderato e solido cuneese il compito di riformare il codice dello stato sabaudo in senso progressista e già vagamente liberale, secondo le note simpatie del sovrano. Barbaroux si mise appassionatamente all'opera: nel 1837 terminava la riforma della parte civile, nel 1839 la penale, nel 1840 la militare. L'impresa, che gli era parsa tanto gloriosa agli inizi, risultò invece un compito ingrato, un'opera che gli costò invidie, calunnie e suscitò una vasta onda di scontenti intorno alla sua figura politica. Accusato dai conservatori, poco ben visto dai progressisti cui era parso troppo freddo e moderato, mal difeso da un re incerto come sempre, amareggiato nell'animo, stanco nel corpo, nel settembre del 1840 il Barbaroux si dimetteva. Mantenne unicamente la presidenza della commissione istituita per rivedere il codice commerciale: l'ultima fatica per terminare l'impresa cominciata quattro anni prima. Ma oramai l'uomo e il legislatore erano stanchi; sentendosi incompreso e abbandonato da tutti Barbaroux si uccise l'11 maggio 1843 gettandosi da una finestra del Palazzo di Giustizia.

Botanico, o per meglio dire zoologo, fu Franco Bonelli cui è dedicato l'attuale Istituto Tecnico per Ragionieri. Nato l'11 novembre 1784, si trasferì a Torino con la famiglia nei primi anni d'infanzia. Gli studi del giovane furono estremamente irregolari ed indisciplinati; non giunse mai a frequentare i corsi universitari e si appassionò alle materie più disparate, in particolar modo al disegno, alla meccanica e all'entomologia. Il suo primo scritto uscì nel 1808 "Specimen faunae subalpinae". Nel 1811, all'epoca della dominazione napoleonica, ottiene la cattedra di zoologia a Torino, cattedra che tenne fino alla fine dei suoi giorni. Il Bonelli fu un seguace delle teorie evoluzioniste del Lamarck (evoluzionismo finalistico).
Purtroppo i suoi scritti rimasero inediti per oltre un secolo e, quando furono pubblicati, era ormai prevalsa l'altra corrente dell'evoluzionismo, la dottrina darwiniana. Questo però non toglie al Bonelli i meriti di studioso appassionato ed intelligente, né sminuisce la vivacità e l'acutezza delle sue riflessioni.

Toselli Giovanni Toselli, attore di prosa, nacque a Cuneo il 6 gennaio 1819. La sua famiglia non era particolarmente ricca, benestante ma quanto basta per mantenerlo agli studi regolari, a Cuneo dapprima e a Torino poi, ove si laureò in giurisprudenza. Tornato a Cuneo dopo la morte del padre esercitò per un po' di tempo la professione, dedicandosi parallelamente, a livello amatoriale, alla lirica. Fa parte della filodrammatica Accademia filarmonica, presieduta dall'Intendente generale del regno, il barone Alberto Nota. Ma, a 26 anni, a Milano, il Toselli ha la grande illuminazione che lo porterà alla scelta di vita, al salto totale: vuole essere attore di prosa. Abbandona tutto per diventare allievo dell'attore Gustavo Modena: un tipo di recitazione non declamata ed oratoria, ma quotidiana, quasi colloquiale, accompagnata ben presto dalla scelta del teatro dialettale. L'esordio del Toselli avviene nel 1851, nella "Cichina d'Moncalé", a Torino e, dopo aver impersonato più volte la nota maschera Gianduja, maschera faceta, modesta, nel 1863 il Toselli è M. Travet nell'omonima opera di Vittorio Bersezio: "Le miserie d'Monsu Travet", capolavoro del teatro dialettale piemontese. E' l'apice del trionfo dell'attore cuneese, purtroppo, però, anche il principio del suo declino. Il teatro dialettale piemontese, infatti, legato alla vita di tutti i giorni, alla piccola quotidianità, non riuscì ad imporsi e a trovare la propria strada e il consenso del pubblico. Toselli ritornò a Cuneo ove fondò un suo teatro, il Teatro d'Estate (sull'area dell'attuale posta centrale), ma, nel 1885, era costretto a venderlo al Municipio. Morì a Genova il 12 gennaio 1886, in miseria e dimenticato da tutti.

Peano Nella frazione di Spinetta Tetti Galant, nacque il 27 agosto 1858 Giuseppe Peano, il più celebre matematico italiano tra Ottocento e Novecento. Peano compì i suoi primi studi a Cuneo, dove la famiglia si era trasferita, in una casa lungo i baluardi del Gesso. Uno zio, notata la sua intelligenza, lo invitò a studiare a Torino. Al "Cavour" Peano prese la licenza liceale nel 1876. Iscrittosi a matematica, nel 1880 è già assistente di algebra e geometria analitica. Inizia così la sua lunga carriera universitaria. Peano sarà docente amato e stimato, grande vivificatore del mondo matematico torinese, intrattenendo rapporti con le più vive correnti mondiali del pensiero, organizzando conferenze, dibattiti, incontri. Dapprincipio il Peano si occupò prevalentemente di analisi matematica. Caratteristico del grande matematico è fin dagli inizi il rigore logico, la chiarezza metodologica, la tendenza alla massima semplicità, la verifica attenta, per ogni teorema, della necessità e sufficienza delle condizioni. Nel 1886 esce lo studio "Sulla integrabilità delle equazioni differenziali del primo ordine", studio fondamentale perché vi si dimostra la risolvibilità del problema posto dal matematico Cauchy circa l'equazione "y f (x,y)", ricorrendo alla sola ipotesi della continuità della funzione. Un'enorme conquista nel campo dell'analisi. E' la linea lungo la quale Peano lavorerà, arricchendola ed approfondendola, nei suoi scritti successivi. Nel 1887 Peano pubblica il saggio "Calcolo geometrico" ove compaiono, per la prima volta, alcune nozioni di logica deduttiva e il concetto di spazio vettoriale astratto introdotto in modo assiomatico. Nel 1890 esce lo studio "Sur une courbe qui remplit toute une aire plaine" che contiene la grande scoperta del matematico cuneese, quella a cui più d'ogni altra è rimasto legato il suo nome: la cosiddetta curva di Peano. Esiste un'applicazione continua dell'intervallo (0,1) - questo dice lo studio di Peano - su un quadrato di lato unitario che dà luogo ad una curva che riempie tutto il quadrato. Ma gli interessi di Peano vanno sempre più rivolgendosi alla logica. La prima opera schiettamente logica è del 1889, gli "Arithmetices principia novo methodo exposita". Per Peano la logica è innanzitutto costruzione di un linguaggio simbolico, capace di un'espressione concisa e precisa, applicato agli enunciati matematici (giacchè è a questo campo che rimane rivolta l'analisi logica del Peano). Una volta semplificato e chiarificato senza possibilità di equivoci il nucleo degli enunciati di partenza, si procederà a dedurre da essi, con una sorta di calcolo algebrico, in modo procedurale, i teoremi. Nel corso di lunghi studi Peano verrà formulando i suoi celebri cinque assiomi sui numeri naturali, noti appunto come gli "assiomi di Peano". Di Peano vanno ricordate inoltre le definizioni ricorsive dell'addizione e della moltiplicazione che precorrono, con un'intuitività sorprendente, la teoria moderna della computazione e la sua realizzazione algoritmica su elaboratori elettronici. Gli ultimi anni della vita del grande matematico sono spesi alla ricerca della realizzazione di un'irraggiungibile utopia: la costruzione di una lingua tutta calcolata artificialmente, controllabile in ogni sua espressione ed in ogni suo passaggio e, come tale, scevra da qualsiasi possibilità di ambiguità e di errore. Ovviamente il progetto era smisurato, irrealizzabile e invano Peano vi spese per anni e anni le sue forze migliori, in una gigantesca opera di sistematizzazione, formalizzazione e rielaborazione. Il grande matematico si spegneva a Torino, il 20 aprile 1932, dopo una serena vecchiaia. A lui è dedicato il liceo scientifico cuneese.

Barbaroux A Cuneo, nel 1880, vide la luce Nino Berrini, nome oggi quasi del tutto dimenticato eppure, a suo tempo, "caso" clamoroso del teatro italiano. Il Berrini fu scrittore teatrale, di drammi e commedie, rigorosamente suddivisi per categorie: poemi drammatici, drammi storici, commedie storiche, commedie borghesi. L'opera che consacrò la fama del Berrini fu "Il Beffardo", dramma incentrato sulla figura del poeta senese Cecco Angiolieri. Rappresentata negli anni Venti dalle maggiori compagnie teatrali italiane, l'opera fu accolta con molto entusiasmo dal pubblico ma meno dalla critica. Il dramma sembrava rappresentare una rinascita, per freschezza, novità del tema, vitalità delle situazioni e dei dialoghi, una rinascita dello sbiadito panorama del teatro italiano di quegli anni. Ma vi furono anche coloro che videro nella pretesa freschezza una artificiosità di intenzioni non vitalizzata da una sufficiente forza artistica, e sminuirono di molto la vitalità e l'efficacia scenica dell'opera. Ne nacque una vivace polemica tra detrattori e sostenitori che portò il Berrini al centro dell'attenzione. L'editore Mondadori pubblicò le opere del Berrini e questi, riscuotendo sempre più successo, continuò a scrivere seguendo di piazza in piazza le compagnie che rappresentavano le sue opere e salendo spesso sul palcoscenico a raccogliere gli applausi a fianco degli attori. La seconda guerra mondiale lo costrinse a ritirarsi nel suo paese d'elezione: Boves. La cittadina fu coinvolta nelle sanguinose vicende della Resistenza e delle persecuzioni naziste e su questo argomento il Berrini scrisse la sua ultima opera: un lungo romanzo intitolato "Il villaggio messo a fuoco". Morì a Boves nel 1960.

Barbaroux Avvocato ed uomo politico fu Marcello Soleri, nato a Cuneo il 28 maggio 1882. La famiglia Soleri apparteneva all'alta borghesia cittadina ed era imparentata con quella dei Moschetti, grande sostenitrice di Giolitti. A soli 30 anni, Soleri è già sindaco. E' lui ad approvare il progetto per la costruzione del grandioso viadotto che oggi porta il suo nome e lo spostamento della stazione dal bassopiano all'altipiano, a più stretto contatto con la città. L'anno seguente, nel 1913, Soleri entra deputato in parlamento grazie all'appoggio di Giolitti e battendo la candidatura di un altro cuneese: Tancredi Galimberti senior. Interventista, durante la prima guerra mondiale Soleri si arruolò volontario nel 1917, combattendo sul fronte dell'Isonzo ove fu gravemente ferito. Rientrato nella vita politica si battè per l'abolizione del prezzo politico del pane che egli riteneva oramai in demagogico orpello, più di danno all'economia del paese che di reale sostegno ai poveri. Divenuto, col quinto governo Giolitti, ministro delle Finanze, prese parte alla drammatica seduta della notte tra il 27 e il 28 novembre 1922, quando si decise di proclamare lo stato d'assedio per impedire la marcia su Roma. Fu proprio il Soleri a redigere il verbale di quella fatidica notte. Ma il re si accordò con Mussolini e Soleri preferì ritirarsi dalla vita politica, dedicandosi alla professione forense. Appartato irriducibile per tutto il tempo in cui durò il fascismo, accorse a Roma dopo l'armistizio del 1943. Ma il Soleri potè riprendere il proprio posto nella vita politica del paese solo dopo la caduta definitiva del regime. Fu ministro del tesoro nei governi Bonomi e Parri ma, pochi mesi dopo, il 23 luglio 1945, a Torino, lo coglieva la morte.

Galimberti Fra i grandi cuneesi, ricordiamo ancora Tancredi Galimberti junior "Duccio" che nacque a Cuneo il 30 aprile 1906. La famiglia Galimberti vantava una insigne tradizione civile e politica. Il nonno Bartolomeo Galimberti, tipografo, aveva fondato la "Sentinella delle Alpi", giornale laico ed anticlericale ed il padre, Tancredi Galimberti senior, era stato deputato dal 1887 al 1913, seguace dapprima di Giolitti, allontanatosene in seguito. Nella vita privata avvocato, cultore appassionato delle memorie civiche e risorgimentali. Dalla famiglia il giovane ereditò una solida formazione patriottica, culturale e morale, secondo l'idea mazziniana della vita come dovere. Già tra il 1940 e il 1942 Galimberti fu l'anima di un circolo culturale antifascista, in contatto con gruppi di Giustizia e Libertà e degli azionisti torinesi. Fonderà, assieme a Lino Marchisio, Leonardo Ferrero, Luigi Pareyson ed altri il Partito d'Azione cuneese. Gli eventi maturano, la situazione del fascismo precipita: la mattina del 26 luglio 1943, dal balcone della sua casa sull'attuale piazza Galimberti, Duccio pronuncia il famoso discorso ai cuneesi, di esultanza per la caduta del regime e d'incitamento a rivolgere l'offensiva contro i nazisti ancora presenti nel Paese. Assieme ad altri futuri partigiani, Dante Livio Bianco, Dino Giacosa, Ettore Rosa, Aldo Vivanti, tenterà la saldatura tra i volontari "partigiani" e l'esercito. L'esito è infruttuoso; l'esercito sbanda, i fascisti si sono riorganizzati a Salò: Galimberti decide di buttarsi nella lotta clandestina, la famosa "Resistenza". E sarà proprio il Galimberti a fondare ed organizzare la prima vera e propria banda partigiana, a Madonna del Colletto, presso Valdieri. Ferito nel combattimento di S. Matteo, durante il primo rastrellamento tedesco (13 gennaio 1944), Galimberti fu soccorso dai compagni ed ospitato dai contadini delle valli: diventerà l'organizzatore delle varie bande partigiane cuneesi e persuaderà gli italiani a collaborare con i "maquisards" francesi. I patti dell'accordo vennero stipulati a Saretto presso Acceglio il 30 maggio 1944. Organizzatore ed indiscusso capo ideologico, Galimberti intendeva la guerra di resistenza come "guerra del popolo", i suoi ideali politici erano il superamento degli stati nazionali verso una più ampia coscienza e federazione europea e l'educazione dei cittadini alla libertà ed alla responsabilità. Assurto al comando delle formazioni piemontesi "Giustizia e Libertà", il 28 novembre 1944 veniva arrestato a Torino dai fascisti, molto probabilmente su delazione. Verrà giustiziano a Tetto Croce, presso Centallo, lungo la strada per Cuneo, la mattina del 3 dicembre 1944. Galimberti è stato proclamato "eroe nazionale" e medaglia d'oro al valor militale.

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